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Dodicesimo canto del Paradiso: armonia celestiale e elogio degli ordini

Pubblicato il 15/05/2025
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Il dodicesimo canto del Paradiso rappresenta uno dei momenti più significativi della terza cantica dantesca, dove l'armonia tra gli ordini religiosi e la celebrazione della sapienza divina raggiungono la loro massima espressione poetica. In questo canto, San Bonaventura da Bagnoregio prende la parola per tessere l'elogio di San Domenico, completando così il dittico iniziato da San Tommaso nel canto precedente con la lode di San Francesco. La struttura speculare evidenzia la visione dantesca dell'unità della Chiesa attraverso la complementarità degli ordini mendicanti.

La danza armoniosa delle anime beate

Il canto si apre con la conclusione del discorso di San Tommaso e il riprendere della danza delle anime sapienti, che si muovono in perfetta armonia nel Cielo del Sole. La descrizione di questa danza celestiale rivela una delle caratteristiche fondamentali del Paradiso dantesco: l'ordine cosmico che governa ogni movimento e ogni suono.

Compare una seconda corona di dodici anime ancora più luminose della prima, che circonda il primo cerchio e si sincronizza perfettamente con i suoi movimenti. Questa immagine delle due corone concentriche simboleggia l'unità e l'armonia tra i diversi ordini religiosi e le diverse forme di sapienza.

Dante utilizza la similitudine degli arcobaleni concentrici per descrivere questo fenomeno, richiamando il mito di Giunone e Iride. L'arcobaleno, simbolo dell'alleanza tra Dio e gli uomini dopo il diluvio universale, diventa metafora della riconciliazione e dell'armonia che caratterizzano il regno celeste.

La perfetta sincronia tra le due corone rappresenta l'ideale dantesco di una Chiesa unita, dove domenicani e francescani, pur nelle loro specificità, convergono verso lo stesso fine: la difesa e la diffusione della fede cristiana.

Il canto che accompagna la danza supera per dolcezza qualsiasi melodia terrena, simboleggiando la superiorità dell'armonia celeste rispetto a ogni forma d'arte umana. Questa musica delle sfere rappresenta l'espressione più pura della bellezza divina.

San Bonaventura e l'elogio di San Domenico

San Bonaventura da Bagnoregio (1221-1274), dottore della Chiesa e generale dell'ordine francescano, prende la parola per tessere l'elogio di San Domenico. La scelta di far parlare un francescano di un domenicano è significativa e rappresenta l'umiltà e la carità cristiana che dovrebbero caratterizzare i rapporti tra gli ordini religiosi.

Il discorso di Bonaventura segue una struttura agiografica tradizionale, partendo dalla nascita miracolosa di Domenico accompagnata da visioni profetiche. La madre vede in sogno un cane nero e bianco con una torcia in bocca: il bianco e nero rappresentano i colori del saio domenicano, mentre la torcia simboleggia l'ardore di fede e carità che caratterizzerà il santo.

La madrina di Domenico sogna il bambino con una stella sulla fronte, prefigurando la dottrina domenicana che sarà 'lume di tutta la cristianità'. Questi prodigi alla nascita inseriscono Domenico nella tradizione dei grandi santi, la cui missione è prefigurata da segni divini.

Bonaventura descrive l'attività dottrinale di Domenico, la sua lotta contro le eresie (in particolare contro gli Albigesi), e la diffusione globale dell'ordine domenicano. Domenico viene presentato come il campione dell'ortodossia, colui che ha saputo difendere la purezza della fede contro le deviazioni ereticali.

L'elogio si concentra sulla sapienza teologica di Domenico e sulla sua capacità di coniugare studio e predicazione. L'ordine domenicano viene celebrato per il suo contributo alla diffusione della cultura e della dottrina cristiana attraverso l'insegnamento e la predicazione.

La critica alla corruzione dell'ordine francescano

Dopo aver lodato San Francesco nel canto precedente attraverso le parole di San Tommaso, ora San Bonaventura, pur essendo francescano, non esita a criticare la corruzione che ha colpito il suo stesso ordine. Questa autocritica testimonia l'onestà intellettuale e la sincerità spirituale del personaggio dantesco.

Bonaventura lamenta la discordia che regna all'interno dell'ordine francescano del suo tempo, diviso tra spirituali e conventuali. Gli spirituali, rappresentati da figure come Ubertino da Casale, sostenevano una rigida osservanza della povertà assoluta, mentre i conventuali, come Matteo d'Acquasparta, ammettevano interpretazioni più flessibili della regola.

La metafora del tartaro che dovrebbe proteggere il vino nelle botti ma che si è trasformato in muffa per la negligenza rappresenta efficacemente la corruzione che ha colpito l'ordine. Il vino, simbolo della purezza evangelica, si è guastato per l'abbandono dei principi originari.

La profezia sul giudizio universale conclude questo tema: nel giorno del raccolto finale si vedrà chiaramente la distinzione tra il grano buono (i francescani fedeli alla regola) e la zizzania (i corrotti), che si lamenteranno di essere esclusi dall'arca del paradiso.

Questa critica non è fine a se stessa ma rappresenta un appello alla riforma e al ritorno ai valori originari dell'ordine francescano: umiltà, povertà e semplicità di vita secondo l'esempio di San Francesco.

I simboli e le allegorie del canto

Il canto è ricchissimo di simboli e allegorie che arricchiscono il significato teologico e poetico del testo. La metafora delle ruote del carro della Chiesa per indicare San Domenico e San Francesco è particolarmente significativa: entrambi i santi sono visti come supporti essenziali del veicolo che trasporta la cristianità verso la salvezza.

I riferimenti mitologici ad Eco, Giunone e Iride non sono mere decorazioni poetiche ma portano con sé significati profondi. Eco, condannata a ripetere solo le parole altrui, simboleggia l'armonia che nasce dalla ripetizione e dall'accordo; gli arcobaleni di Giunone rappresentano l'alleanza divina.

La simbologia dei nomi è particolarmente elaborata: Domenico significa 'colui che è di Dio', Felice (il padre) significa 'ben avventuroso', Giovanna (la madre) evoca la grazia divina. Questa etimologia simbolica rivela il destino provvidenziale del santo fin dalla nascita.

La metafora agricola ricorre frequentemente: Domenico è paragonato al contadino che aiuta Cristo a far prosperare l'orto della cristianità, al vignaiuolo che cura la vigna della Chiesa. Queste immagini sottolineano l'aspetto pratico e concreto dell'azione pastorale.

Il simbolismo della luce pervade tutto il canto: le anime sono descritte come luci, fiamme, splendori che riflettono la gloria divina. La progressiva intensificazione della luminosità accompagna la crescita della beatitudine e della comprensione spirituale.

La presentazione delle anime della seconda corona

San Bonaventura conclude il suo discorso presentando le anime della seconda corona, completando così la rassegna dei sapienti che popolano il Cielo del Sole. Tra questi figura Illuminato da Rieti, compagno di San Francesco, che rappresenta la santità francescana delle origini.

Agostino d'Assisi, altro seguace di San Francesco, simboleggia la fedeltà ai principi originari dell'ordine. La presenza di questi francescani 'puri' accanto a San Bonaventura sottolinea il contrasto con la corruzione denunciata.

Tra i dottori della Chiesa troviamo Ugo di San Vittore, rappresentante della teologia mistica, e Pietro Mangiadore, famoso per i suoi commenti biblici. Questi personaggi incarnano diverse tradizioni di sapienza teologica che convergono nell'unica verità divina.

Pietro Ispano, che divenne papa con il nome di Giovanni XXI, rappresenta l'unione tra sapienza filosofica e autorità ecclesiastica. La sua presenza conferma l'ideale dantesco di una Chiesa guidata dalla sapienza.

Completano la corona figure come Anselmo d'Aosta, grande filosofo e teologo, Elio Donato, grammatico dell'antichità, e Rabano Mauro, enciclopedista medievale. Questa varietà di saperi convergenti dimostra l'universalità della verità cristiana.

La struttura speculare e la visione ecclesiologica

Il dodicesimo canto completa la struttura speculare iniziata nel canto precedente: come San Tommaso, domenicano, aveva lodato San Francesco, ora San Bonaventura, francescano, elogia San Domenico. Questa simmetria non è casuale ma riflette la visione dantesca dell'unità ecclesiale.

La complementarità tra i due ordini emerge chiaramente: i domenicani sono associati alla sapienza teologica e alla lotta contro l'eresia, i francescani all'amore evangelico e alla povertà. Entrambi gli aspetti sono necessari per la completezza della missione ecclesiale.

L'umiltà dimostrata dai due santi nel lodarsi reciprocamente rappresenta l'ideale cristiano della carità che supera ogni forma di rivalità o competizione. Questa umiltà è presentata come antidoto alla discordia che caratterizza i tempi di Dante.

La critica alla corruzione contemporanea degli ordini non mina la validità dei loro fondatori ma sottolinea la distanza tra l'ideale e la realtà storica. Dante auspica un ritorno alle origini attraverso la riscoperta dei valori autentici.

Il canto si chiude con l'immagine delle due corone danzanti che rappresentano l'armonia perfetta raggiunta dalla sapienza illuminata dalla grazia divina. Questa immagine finale sintetizza tutto il messaggio del canto: l'unità nella diversità sotto la guida della Provvidenza divina.

Conclusione

Il dodicesimo canto del Paradiso rappresenta un momento di sintesi perfetta della visione ecclesiologica dantesca, dove l'elogio reciproco tra gli ordini mendicanti testimonia l'ideale di unità e complementarità nella Chiesa. Attraverso la figura di San Bonaventura che loda San Domenico, Dante dimostra come la vera grandezza spirituale si manifesti nell'umiltà e nel riconoscimento del valore altrui. La critica alla corruzione contemporanea non offusca la bellezza dell'ideale originario ma invita a una riforma che riporti la Chiesa ai suoi principi fondamentali. L'armonia delle corone danzanti rimane l'immagine poetica più alta di questa visione di unità nella diversità, guidata dalla sapienza divina.