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Il brivido di Pascoli: morte e simbolismo poetico nelle quattro sestine

Pubblicato il 28/04/2025
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Il brivido è una delle poesie più cupe e misteriose di Giovanni Pascoli, che si distacca significativamente dal tono idillico e quotidiano che caratterizza gran parte della sua produzione poetica. Composta da quattro sestine con schema metrico ABABCDC, l'opera affronta il tema universale della morte attraverso una rappresentazione simbolica e suggestiva, dove il mistero dell'evento ultimo dell'esistenza viene evocato attraverso sensazioni fisiche e immagini di oscurità. La poesia rivela una dimensione più profonda e inquietante del mondo pascoliano, mostrando come anche nella poetica del quotidiano possa emergere la riflessione sui grandi interrogativi esistenziali.

La struttura metrica e compositiva

La poesia Il brivido di Giovanni Pascoli è composta da quattro sestine che seguono rigorosamente lo schema metrico ABABCDC. Questa struttura regolare conferisce al componimento un ritmo incalzante e ipnotico, che rispecchia l'ossessiva ripetizione dell'interrogativo centrale dell'opera.

La scelta della sestina come forma strofica non è casuale: essa permette al poeta di sviluppare gradualmente l'immagine della morte attraverso sei versi per strofa, creando un effetto di progressiva intensificazione dell'atmosfera di mistero e inquietudine.

Il metro utilizzato alterna versi di diversa lunghezza, creando un ritmo sincopato che ricorda proprio il battito irregolare del cuore di fronte all'approssimarsi del mistero della morte. Questa varietà metrica conferisce al testo una musicalità particolare, tipica della sensibilità pascoliana.

La regolarità dello schema rimico crea un contrasto interessante con l'irregolarità dei contenuti emotivi e delle sensazioni descritte, evidenziando la tensione tra forma controllata e contenuto perturbante che caratterizza l'intera composizione.

Il tema della morte come presenza sfuggente

In questa poesia, Pascoli descrive la morte come un brivido che gli 'corse le vene', trasformando un'esperienza metafisica in una sensazione fisica concreta. Questa scelta stilistica rivela l'approccio tipicamente pascoliano di rendere tangibile l'ineffabile attraverso le percezioni sensoriali.

La poesia costituisce il racconto del passaggio della morte accanto al poeta, un passaggio rapido e fugace che viene però percepito con straordinaria intensità. La morte non si manifesta come evento definitivo, ma come presenza transitoria che sfiora il poeta senza ancora reclamarlo.

Alla fine di ogni strofa si ripete la stessa domanda: 'Com'era?'. Questa iterazione evoca un senso di non totale conoscenza della morte, sottolineando come essa rimanga fondamentalmente misteriosa anche quando la si è 'sfiorata'. Il poeta ammette implicitamente l'impossibilità di comprendere pienamente l'essenza della morte.

La rapidità del passaggio della morte è enfatizzata dalla brevità delle descrizioni e dalla frammentarietà delle immagini. La morte è presente ma allo stesso tempo assente, vicina ma inafferrabile, creando un paradosso esistenziale che attraversa tutta la composizione.

Il simbolismo dell'ombra e dell'oscurità

Nonostante la sua natura inafferrabile, la morte viene descritta con immagini precise e potenti. Essa è un''ombra nera', un''ombra di mosca', impercettibile ma capace di nascondere tutto quando si manifesta. Questa rappresentazione richiama l'iconografia tradizionale della morte come oscuramento della luce vitale.

La morte è veloce come un 'uragano silenzioso' che passa e distrugge ogni cosa, svuotandola e togliendole la vita. Questa metafora dell'uragano silenzioso cattura perfettamente il paradosso della morte: devastante nella sua potenza ma silenziosa nel suo approssimarsi.

Il campo semantico della poesia è dominato da termini che evocano l'oscurità: 'nera', 'ombra', 'fosca', 'sera'. Anche il riferimento al 'non aprire più gli occhi' ricorda il buio definitivo della morte, creando una coerenza tematica che pervade l'intero componimento.

L'immagine dell'ombra di mosca è particolarmente significativa: suggerisce qualcosa di piccolo e apparentemente insignificante che può però oscurare completamente la visione quando si interpone tra l'occhio e la luce. Questa metafora coglie l'essenza della morte come evento che, pur essendo 'naturale', trasforma radicalmente la percezione dell'esistenza.

Le figure retoriche e la tecnica espressiva

Pascoli utilizza due similitudini particolarmente efficaci per descrivere la morte: al verso 7 'Veduta vanita, / com'ombra di mosca' e al verso 14 'Tremenda e veloce / come un uragano'. Queste similitudini creano un contrasto interessante tra la piccolezza dell'ombra di mosca e la potenza dell'uragano.

La tecnica dell'enjambement è utilizzata con grande maestria, specialmente nel verso 19: 'Chi vede lei, serra / né apre più gli occhi'. Questo spezzamento del verso crea una pausa drammatica che enfatizza la definitività della morte, mentre il ritmo spezzato imita il cessare del respiro.

Le inversioni sintattiche sono numerose, come quella del verso 1: 'mi corse le vene il ribrezzo', dove il soggetto è posto alla fine. Questa tecnica crea un effetto di sospensione e sorpresa che rispecchia l'inatteso manifestarsi della percezione della morte.

Una forte antitesi al verso 17 ('silenzio e bufera') costituisce forse la descrizione più efficace della morte: essa è silenziosa, non avverte nessuno del suo approssimarsi, ma quando si manifesta scatena una tempesta emotiva e esistenziale. Questa figura retorica cattura la natura paradossale dell'evento finale.

L'impossibilità della conoscenza ultima

Un tema centrale della poesia è l'impossibilità di conoscere realmente la morte. L'unico che potrebbe descrivere autenticamente questo evento è colui che 'poi chiude gli occhi per sempre', viene messo 'sotterra' e non ha più la possibilità di comunicare a nessuno com'essa sia veramente.

Questa aporia conoscitiva costituisce il nucleo filosofico dell'opera: la morte rimane l'esperienza umana per eccellenza che non può essere comunicata, poiché chi la vive completamente non può più testimoniare. Il poeta può solo descrivere la sua 'ombra', la sua approssimazione.

La ripetizione ossessiva della domanda 'Com'era?' sottolinea questa frustrazione conoscitiva. Il poeta è consapevole di aver percepito qualcosa di fondamentale, ma allo stesso tempo riconosce l'inadeguatezza della sua percezione rispetto alla realtà dell'evento.

L'immagine finale del 'chiudere gli occhi per sempre' non è solo una perifrasi della morte, ma una metafora della conoscenza che si interrompe. Gli occhi, simbolo tradizionale della conoscenza e della percezione, una volta chiusi per sempre non possono più trasmettere ciò che hanno visto nell'ultimo istante.

Il distacco dalle altre opere pascoliane

Questa poesia si distacca significativamente dalle altre opere di Pascoli per il suo tono cupo e l'assenza di quella descrizione partecipe della vita quotidiana che caratterizza gran parte della sua produzione. Manca completamente la dimensione consolatoria del 'nido' familiare.

A differenza delle raccolte più note come Myricae o i Canti di Castelvecchio, dove prevale l'osservazione affettuosa della natura e delle piccole cose quotidiane, in Il brivido domina un'atmosfera di mistero metafisico che avvicina Pascoli alle tematiche del simbolismo europeo.

L'opera non descrive una scena di vita quotidiana ma tratta di qualcosa che, pur facendo parte dell'esistenza, rappresenta il suo limite invalicabile. Questa scelta tematica rivela una dimensione meno nota ma non meno significativa della sensibilità pascoliana.

Il linguaggio utilizzato è più astratto e simbolico rispetto alla consueta concretezza delle immagini pascoliane. Le 'onomatopee' che spesso animano i suoi versi lasciano il posto a un linguaggio più rarefatto e misterioso, adatto a evocare l'ineffabilità dell'esperienza descritta.

La dimensione esistenziale e universale

Nonostante il carattere personale dell'esperienza descritta ('mi corse le vene'), la poesia raggiunge una dimensione universale attraverso la riflessione sulla condizione umana di fronte alla morte. Il 'brivido' diventa simbolo dell'inquietudine esistenziale che attraversa ogni essere umano.

La modernità della poesia risiede nella sua capacità di trasformare un tema tradizionale della letteratura in una riflessione psicologica sottile. Pascoli non descrive la morte come evento esterno, ma come perturbazione interiore che modifica la percezione della realtà.

L'uso del tempo presente in molti passaggi della poesia ('chi vede lei, serra') conferisce un carattere di attualità permanente all'esperienza descritta. La morte non è un evento futuro da temere, ma una presenza costante che può manifestarsi in qualsiasi momento.

La poesia anticipa molte delle preoccupazioni della letteratura del Novecento, dove l'angoscia esistenziale e l'interrogazione sui limiti della conoscenza umana diventeranno temi centrali. In questo senso, Il brivido rappresenta un ponte tra la sensibilità ottocentesca e quella del secolo successivo, mostrando la complessità e la ricchezza della poetica pascoliana.

Conclusione

Il brivido di Giovanni Pascoli si configura come una delle composizioni più intense e filosoficamente rilevanti del poeta romagnolo, capace di affrontare il tema della morte con una profondità e una sensibilità che vanno ben oltre la semplice descrizione emotiva. Attraverso un linguaggio simbolico raffinato e una struttura metrica rigorosa, Pascoli riesce a evocare il mistero dell'esistenza e i suoi limiti invalicabili, dimostrando come la sua poetica, pur radicata nell'osservazione del quotidiano, sappia elevarsi ai grandi interrogativi universali dell'umanità. L'opera rimane una testimonianza preziosa della capacità della poesia di dare forma all'ineffabile e di trasformare l'inquietudine esistenziale in bellezza artistica.