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INVALSI 2023-2024 Quinta Primaria
Test in Corso - 100% Gratuito
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A chi l'autore fa narrare la vicenda raccontata?
Testo di Riferimento
L'ALBERO AL CENTRO DEL MONDO
«Un albero?»
Ho guardato Leila incredulo.
Lei ha annuito. «Una witkaree. Nome scientifico: Rhus pendulina.»
«Piacere di conoscerti, albero» ho detto io.
Ho passato una mano sulla corteccia ruvida. «È a rischio estinzione o cose così?»
«Non proprio» ha risposto Leila, senza staccare gli occhi dalla chioma. «C'è un sacco di gente che si pianta una witkaree in giardino. Non hanno bisogno di troppa acqua e crescono in fretta» ha aggiunto con un tono da conduttrice tv.
Ero perplesso. «Ma allora perché hai scritto una petizione per salvarlo?»
È rimasta parecchio a guardarmi, come se stesse cercando di farsi un'opinione su di me.
Chissà che cosa vede, mi chiedevo.
Non avevo i capelli biondi, gli occhi azzurri, i muscoli scolpiti e l'abbronzatura di mio fratello maggiore. Nemmeno il nasino all'insù pieno di lentiggini e il bel faccino adorabile di mio fratello minore.
Io avevo i capelli castani, un po' troppo lunghi e pieni di ciuffi che non stavano da nessuna parte, e gli occhi verdi. Quand'ero con i miei fratelli, passavo sempre inosservato. Certe volte mi sentivo invisibile.
Senza distogliere lo sguardo da me, Leila ha fatto un lungo respiro.
«Quest'albero non è come tutti gli altri» mi ha risposto. «È l'albero al centro del mondo.»
Non sono riuscito a trattenermi e sono scoppiato a ridere. Era fuori di testa.
Cosa mi era saltato in mente di seguirla fino a quel parchetto, a tre isolati da casa, perché mi mostrasse un albero?
«L'albero al centro del mondo?» le ho chiesto.
«Lasciamo perdere.» Mi ha lanciato un'occhiataccia. «Pensavo che... Non importa. Chiudiamola qui.»
Sembrava arrabbiatissima, e infatti mi aspettavo che girasse i tacchi e se ne andasse. Ma da come mi guardava era chiaro che a dover smammare ero io.
Non c'era nemmeno da chiederlo. Senza battere ciglio, mi sono incamminato verso casa. E poi avevo da fare in cucina. Prima finivo di lavare i piatti, meglio era.
«Quando ero piccola venivo sempre a giocare in questo parco» ha detto Leila mentre andavo via. Parlava così piano che avevo rischiato di non sentirla.
Mi sono fermato.
«È su questo albero che ho imparato ad arrampicarmi.»
Mi sono voltato verso di lei, ma sembrava non si fosse nemmeno accorta che ero lì in piedi a guardarla.
«Non ci si può arrampicare su tutti gli alberi. Le witkaree hanno la corteccia dura. È facile sbucciarsi quando si scivola, perciò non sono l'ideale. Ma questa qui ha i rami bassi, spessi e anche molto fitti perciò riesci ad arrivare praticamente fino in cima. È perfetta da scalare.»
Poi abbiamo sentito un rumore, ci siamo voltati e abbiamo visto un pick-up bianco che veniva verso di noi passando sul prato.
«Sono loro» ha detto Leila con voce cupa.
Il pick-up si è fermato e sono scesi due uomini. Uno aveva in mano una cartelletta con dei fogli che gli davano un'aria importante. L'altro era alto e magro, con la faccia appuntita e i baffetti sottili. Senza degnarci di uno sguardo, ha cominciato subito a esaminare l'albero.
«Ho fatto una petizione» ha detto Leila all'uomo con la cartelletta. «L'hanno già firmata quasi cinquanta persone.»
«Troppo tardi» ha risposto lui senza nemmeno alzare gli occhi, «abbiamo già tutti i permessi.»
«Ma questa è una petizione!» lo ha incalzato Leila fulminandolo con i suoi occhioni azzurri. «Le persone l'hanno firmata perché non vogliono che l'albero venga abbattuto. Sono quasi in cinquanta! Ci tengono! Non potete fare come se niente fosse!» ha aggiunto.
L'uomo ha scrollato le spalle.
Quello magro ha cominciato a girare attorno all'albero con fare meticoloso.
«Quando prevedete di abbatterlo?» La voce di Leila faceva le montagne russe.
«Posa delle tubature i primi di gennaio» ha risposto l'uomo, «l'albero va giù oggi.»
Leila ha fatto un bel respiro. Ha spalancato gli occhi. Si è tolta i sandali e li ha calciati via. Prima che potessi chiederle che cosa stava facendo, si è girata e si è fiondata sull'albero.
«Dove pensi di andare?» ha domandato l'uomo, stupito.
Io sono rimasto lì, assieme ai due tizi del Comune, a guardarla che sgattaiolava su e poi si accomodava su un ramo.
L'uomo con la cartelletta mi ha lanciato un'occhiata implorante, si aspettava che risolvessi io la situazione.
«L'albero era qui da prima!» ha urlato Leila.
Ho guardato su, tra i rami. Di colpo ha cominciato a girarmi la testa. Ho chiuso forte gli occhi.
Ho pensato a mio fratello maggiore e a mio fratello minore. Qualsiasi cosa succedesse, io scomparivo sempre tra i miei fratelli. Ero sempre schiacciato tra loro due e nessuno si accorgeva mai di me.
Quando ho riaperto gli occhi, ho abbassato lo sguardo e mi sono accorto che avevo ancora lo strofinaccio bianco e rosso appoggiato sulla spalla. Me n'ero completamente dimenticato: avevo fatto tre isolati con uno strofinaccio sulla spalla. Era una di quelle cose strane che magari avrebbe potuto fare Leila. Forse la sua stranezza era contagiosa.
Ho pensato alla pila di piatti che mi aspettava a casa. Penso che certe volte si fanno le cose all'improvviso, senza stare a pensarci, cose che ti cambiano la vita. Chiedi alla tua fidanzata di sposarti mentre state guardando un film dell'orrore, come aveva fatto papà con mamma. Oppure segui una ragazza strampalata tra i rami di un albero, con uno strofinaccio appoggiato sulla spalla.
«Un albero?»
Ho guardato Leila incredulo.
Lei ha annuito. «Una witkaree. Nome scientifico: Rhus pendulina.»
«Piacere di conoscerti, albero» ho detto io.
Ho passato una mano sulla corteccia ruvida. «È a rischio estinzione o cose così?»
«Non proprio» ha risposto Leila, senza staccare gli occhi dalla chioma. «C'è un sacco di gente che si pianta una witkaree in giardino. Non hanno bisogno di troppa acqua e crescono in fretta» ha aggiunto con un tono da conduttrice tv.
Ero perplesso. «Ma allora perché hai scritto una petizione per salvarlo?»
È rimasta parecchio a guardarmi, come se stesse cercando di farsi un'opinione su di me.
Chissà che cosa vede, mi chiedevo.
Non avevo i capelli biondi, gli occhi azzurri, i muscoli scolpiti e l'abbronzatura di mio fratello maggiore. Nemmeno il nasino all'insù pieno di lentiggini e il bel faccino adorabile di mio fratello minore.
Io avevo i capelli castani, un po' troppo lunghi e pieni di ciuffi che non stavano da nessuna parte, e gli occhi verdi. Quand'ero con i miei fratelli, passavo sempre inosservato. Certe volte mi sentivo invisibile.
Senza distogliere lo sguardo da me, Leila ha fatto un lungo respiro.
«Quest'albero non è come tutti gli altri» mi ha risposto. «È l'albero al centro del mondo.»
Non sono riuscito a trattenermi e sono scoppiato a ridere. Era fuori di testa.
Cosa mi era saltato in mente di seguirla fino a quel parchetto, a tre isolati da casa, perché mi mostrasse un albero?
«L'albero al centro del mondo?» le ho chiesto.
«Lasciamo perdere.» Mi ha lanciato un'occhiataccia. «Pensavo che... Non importa. Chiudiamola qui.»
Sembrava arrabbiatissima, e infatti mi aspettavo che girasse i tacchi e se ne andasse. Ma da come mi guardava era chiaro che a dover smammare ero io.
Non c'era nemmeno da chiederlo. Senza battere ciglio, mi sono incamminato verso casa. E poi avevo da fare in cucina. Prima finivo di lavare i piatti, meglio era.
«Quando ero piccola venivo sempre a giocare in questo parco» ha detto Leila mentre andavo via. Parlava così piano che avevo rischiato di non sentirla.
Mi sono fermato.
«È su questo albero che ho imparato ad arrampicarmi.»
Mi sono voltato verso di lei, ma sembrava non si fosse nemmeno accorta che ero lì in piedi a guardarla.
«Non ci si può arrampicare su tutti gli alberi. Le witkaree hanno la corteccia dura. È facile sbucciarsi quando si scivola, perciò non sono l'ideale. Ma questa qui ha i rami bassi, spessi e anche molto fitti perciò riesci ad arrivare praticamente fino in cima. È perfetta da scalare.»
Poi abbiamo sentito un rumore, ci siamo voltati e abbiamo visto un pick-up bianco che veniva verso di noi passando sul prato.
«Sono loro» ha detto Leila con voce cupa.
Il pick-up si è fermato e sono scesi due uomini. Uno aveva in mano una cartelletta con dei fogli che gli davano un'aria importante. L'altro era alto e magro, con la faccia appuntita e i baffetti sottili. Senza degnarci di uno sguardo, ha cominciato subito a esaminare l'albero.
«Ho fatto una petizione» ha detto Leila all'uomo con la cartelletta. «L'hanno già firmata quasi cinquanta persone.»
«Troppo tardi» ha risposto lui senza nemmeno alzare gli occhi, «abbiamo già tutti i permessi.»
«Ma questa è una petizione!» lo ha incalzato Leila fulminandolo con i suoi occhioni azzurri. «Le persone l'hanno firmata perché non vogliono che l'albero venga abbattuto. Sono quasi in cinquanta! Ci tengono! Non potete fare come se niente fosse!» ha aggiunto.
L'uomo ha scrollato le spalle.
Quello magro ha cominciato a girare attorno all'albero con fare meticoloso.
«Quando prevedete di abbatterlo?» La voce di Leila faceva le montagne russe.
«Posa delle tubature i primi di gennaio» ha risposto l'uomo, «l'albero va giù oggi.»
Leila ha fatto un bel respiro. Ha spalancato gli occhi. Si è tolta i sandali e li ha calciati via. Prima che potessi chiederle che cosa stava facendo, si è girata e si è fiondata sull'albero.
«Dove pensi di andare?» ha domandato l'uomo, stupito.
Io sono rimasto lì, assieme ai due tizi del Comune, a guardarla che sgattaiolava su e poi si accomodava su un ramo.
L'uomo con la cartelletta mi ha lanciato un'occhiata implorante, si aspettava che risolvessi io la situazione.
«L'albero era qui da prima!» ha urlato Leila.
Ho guardato su, tra i rami. Di colpo ha cominciato a girarmi la testa. Ho chiuso forte gli occhi.
Ho pensato a mio fratello maggiore e a mio fratello minore. Qualsiasi cosa succedesse, io scomparivo sempre tra i miei fratelli. Ero sempre schiacciato tra loro due e nessuno si accorgeva mai di me.
Quando ho riaperto gli occhi, ho abbassato lo sguardo e mi sono accorto che avevo ancora lo strofinaccio bianco e rosso appoggiato sulla spalla. Me n'ero completamente dimenticato: avevo fatto tre isolati con uno strofinaccio sulla spalla. Era una di quelle cose strane che magari avrebbe potuto fare Leila. Forse la sua stranezza era contagiosa.
Ho pensato alla pila di piatti che mi aspettava a casa. Penso che certe volte si fanno le cose all'improvviso, senza stare a pensarci, cose che ti cambiano la vita. Chiedi alla tua fidanzata di sposarti mentre state guardando un film dell'orrore, come aveva fatto papà con mamma. Oppure segui una ragazza strampalata tra i rami di un albero, con uno strofinaccio appoggiato sulla spalla.
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